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L’asso nella manica

Quando mi sono trasferito in Inghilterra avevo più o meno 18 anni, la prima tappa fu chiaramente Londra. Fu una scelta dettata dalla volontà di vivere nuove esperienze, di imparare una nuova lingua, di trovare lavoro. Una volta lì sentivo che mi mancava qualcosa. Cosa può mancare a chi ha sempre vissuto la sua vita al centro tra l’arida schiena del formidabil monte sterminator Vesevo e il golfo di Napoli? Entrambe le cose.

Porto di Torre del Greco

Certo, non puoi trasferirti e cercare il Vesuvio come punto di riferimento, quello te lo porti dentro; ma il mare sì, quello lo puoi cercare un po’ ovunque. E allora ho capito che la mia esperienza a Londra sarebbe stata breve, giusto qualche mese per prendere confidenza con la lingua; dopodiché, un po’ come le tartarughe che dal momento in cui schiudono le uova si incamminano istintivamente verso il mare, anche io ho deciso di trovare un posto che sapesse d’acqua salata.

Ed è così che sono arrivato nel Kent, precisamente a Ramsgate, paese di 40.000 abitanti nel Sud dell’Inghilterra, con un bel porto e diverse miglia di spiagge, molte delle quali purtroppo impraticabili per via delle meravigliose cliffs a strapiombo. Molte, ma non tutte.

Cliffs a strapiombo a Ramsgate

Arrivato lì ho capito quello che non era Londra: un posto a misura d’uomo. E allora via, mi sono messo subito alla ricerca di un alloggio e di un lavoro. Lo step successivo è stato quello di cercare un negozio di pesca, ma non è stato difficile. Allora ho comprato la mia prima canna da pesca, quella che da noi chiamiamo “mazza di scopa”, con la vetta spessa quasi quanto il fusto della canna che utilizzavo in Italia, un mulinello, dei fili, i piombi e tutto l’occorrente. Ero pronto, mi sono fiondato subito a pescare. Il primo spot è stato il porto, dove un lungo muraglione divide la parte interna da quella esterna, che si affaccia verso il mare aperto con una decina di metri di strapiombo. Avevo già visto tanta gente pescare lì, era un posto comodo, facilmente raggiungibile e mi sono detto che valeva la pena provarci.

Effettivamente le catture erano tante e anche molto emozionanti. Non ne sapevo molto di quali potevano essere le prede da insidiare e allora andavo alla cieca, e i risultati inizialmente non erano male. Ricordo ancora il primo dogfish, quello che possiamo trovare anche in Italia e chiamiamo gattuccio, del quale quasi ne ignoravo l’esistenza. Poi c’erano i whiting, molto simili al nostro nasello, presenti in ogni battuta di pesca insieme ai crab (granchi), quei maledetti crab, in alcune situazioni te ne ritrovavi 4 o 5 appesi a grappolo al tuo amo.

Era divertente uscire a pesca e sapere di poter prendere qualcosa, ma nel 90% delle pescate queste erano le uniche due specie che abboccavano, e non sono certo conosciute per l’adrenalina trasmessa nel momento della cattura. Allora dopo il primo periodo di pesca dal porto, ho realizzato che era arrivato il momento di scoprire nuovi spot. Grazie alle chiacchierate con i pescatori del posto ho capito che spigole e cod non sono così lontani, basta solo saperli scovare (pare facile!)

Pescavo già da diversi anni, è sempre stata la mia passione, ma lo avevo sempre fatto in modo rozzo; non avevo mai dato troppa importanza a fattori quali maree e correnti, visto che nel nostro Mediterraneo le escursioni di marea non sono così intense da compromettere la pescata, non si rimane mai a secco d’acqua. Nell’oceano non è così, se l’escursione di marea è così accentuata, l’unica soluzione per poter pescare è fare la pesca al “Matsugoro” (ricordate quella famosa puntata di Sampei?)

Sampei e la cattura del Matsugoro

Quello per me rappresentava un forte limite, perché se avevo tempo libero per poter andare a pesca, la bassa marea me lo impediva e quando c’era alta marea dovevo lavorare (un classico). Ci ho messo molto tempo a capire che quelle forti escursioni di marea potevano essere invece un vantaggio enorme.

Per far capire bene cosa intendo per forti escursioni di marea questa foto è perfetta

Porto di Margate

e di conseguenza quando c’era il picco di bassa marea, le acque potevano ritirarsi anche di decine di metri.

Passeggiando con amici lungo la spiaggia avevo capito come potevo sfruttare questa situazione a mio vantaggio. Dalle nostre parti non è semplicissimo individuare i punti proficui quali buche e canaloni, nell’oceano invece potevo camminarci sopra proprio grazie alla bassa marea. Quindi potevo individuare gli scogli, potevo osservare le forme di vita che erano cibo per le mie potenziali prede, gli avvallamenti e i punti di accumulo di sostanze nutritive. Insomma avevo un’enciclopedia davanti ai miei occhi. Così ho capito che per migliorare non era necessario pescare materialmente. Anche il momento di studio, osservazione del fondale e dei movimenti del mare erano passi fondamentali per la scelta dell’esca e degli spot a seconda del momento. È così che ho capito come fare per essere SEMPREINPESCA.

Da allora la scelta delle esche è cambiata, i lanci erano più mirati, se prima cercavo di raggiungere il punto più lontano, adesso sapevo che forse 30 metri erano più che sufficienti, e sicuramente più redditizi. Ed ecco che dopo svariati tentativi, non portavo più a riva soltanto granchi, gattucci e merlani, ma cominciarono presto ad arrivare le prime spigole e di conseguenza una grande soddisfazione.

Con questo articolo vorrei far capire (semmai ce ne fosse bisogno) qual è per me, la magia della pesca.

Una partita di calcio puoi giocarla in Italia, in Brasile o in Giappone, sarà sempre 11vs11 su un rettangolo verde con le stesse regole, nel mondo della pesca non esistono vere e proprie regole scritte, esistono molteplici situazioni diverse tra loro che possono cambiare nel giro di qualche ora e a distanza di qualche metro, bisogna solo saperle individuare e provare a sfruttarle al meglio.

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